FRANCESCO GALIFI

Nato a Conegliano (TV) nel 1968, dopo aver conseguito il diploma di maturità classica, si laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l'Università di Udine. Nel 1993 inizia a lavorare in uno studio di fotografia, dove si appassiona al genere del paesaggio. Da autodidatta perfeziona poi la sua tecnica utilizzando una macchina fotografica Hasselblad. Nel 2008 passa dalla fotografia analogica a quella digitale occupandosi di fotografia paesaggistica, architettonica e di servizi pubblicitari e industriali. Collabora attivamente con alcune aziende vitivinicole più importanti delle colline del Prosecco e con numerose aziende operanti nei settori dell'industria e dell'architettura. Lavora inoltre per diversi enti pubblici della provincia di Treviso, fornendo immagini e servizi per la promozione del territorio.

La sua opera, impostata sulla meticolosa ricerca dell'equilibrio tra luce, forma e colore, è volta a restituire l'aspetto più emozionale insito nell'ambiente naturale. Osservatore attento e appassionato del territorio, Francesco Galifi ha dato un contributo fondamentale alla valorizzazione del patrimonio paesaggistico dell'Alta Marca Trevigiana e in particolare delle colline di Conegliano.

SILENZI, LUCI E COLORI DEL CANSIGLIO

Tutt’intorno è il silenzio della montagna, fra gli abeti, i larici e i faggi lungo le stradine del bosco. Solo qualche canto d’uccello incrina talvolta quel silenzio di vetro.
Allora è dolce salire dalla conca verso il bosco nella luce abbacinante del sole. Lontani dalle piste battute, seguire una traccia isolata nelle pieghe dell’immensa montagna, la traccia di una slitta, che ci porta tra taciti alberi, da cui qualcuno sembra ci stia spiando. Peste d’animali attraversano qualche radura in pieno sole: piccoli segni, come file di fiori d’ombra sulla neve, finiscono sotto un cespuglio, fra gli alberi. Più avanti, altre peste in fila, diverse, più grandi, più piccole si intersecano: c’è chi sa riconoscerle: peste di uccelli, di lepri, di altri animali, che d’estate raramente s’incontrano. I raggi del sole passano fra i rami degli abeti e i cristallini di neve che avvolgono le loro fogliuzze come una luminosa peluria, li rifrangono, li dividono, così che essi vengono verso di noi come fili di seta vibranti e cangianti nei colori dell’iride, quasi per virtù di un magico filtro.

Ma forse la più grande e pacificante dolcezza si prova verso sera, in autunno, quando i colori dei boschi di abeti e di faggi, sfumati di rosso, di bruno e di verde, diventano simili a quelli del rame ossidato: colori d’incendio quasi che gli alberi a un tratto esprimessero tutto il calore del sole di cui si sono nutriti per tutta l’estate. È questo il momento, l’ora, la stagione più bella per godere il Cansiglio. Come dopo un gran fuoco, le tinte si smorzano a poco a poco, diventano violacee e livide, e poi grige nella prima ombra della sera.

Nel tardo autunno i boschi diventan più cupi, lasciando qua e là fiammeggiare l’oro dei larici. Più non si sentono risuonare da un vallone all’altro i vibranti colpi di scure ripetuti da elastici echi. Rari uomini percorrono sentieri felpati di fogliuzze d’abete. La montagna attende. Attende che il cielo incupisca; che scenda a penetrare nei valloni, a pesare sulla terra, a coprirla tutta. Da quelle nebbie, come un immenso velario disteso per un gran cambiamento di scena, le cime tornano ad apparire miracolosamente rifatte dalla neve, tutte bianche, pure e intatte nello splendore di un nuovo giorno.

Ma il Cansiglio non è solo luogo di contemplazione, di pace e di svaghi. Intorno agli alberi, nelle casere, sui pascoli, nei campi (…), dovunque si lavora nel gran silenzio dei monti. Esso è venato da echi di voci lontane, sperdute e dissolte nell’aria; voci che vengono dal fondo delle valli, da luoghi vicini, da lontananze immense.

da, Un altopiano selvoso, il Cansiglio - Giuseppe Mazzotti, Le Vie d’Italia, N.4 Aprile 1961